In Camerun
Anche questa volta la Chiesa, attraverso la voce di un Vescovo, ci invita a volgere la nostra attenzione verso l’Africa.
Scrive Lucia nella “memoria storica” del nostro Istituto :
“Nel 1971 giunge al nostro Istituto una richiesta dal Vescovo di Doumè in Cameroun.
Maria Ballario e Franca Cravero, due infermiere professionali, dopo aver frequentato un corso di specializzazione per malattie tropicali ad Anversa, partiranno alla volta di Mbala, diocesi di Doumè, per prestare cura e fraterna assistenza ai numerosi ammalati di lebbra e di tubercolosi, sia nel piccolo ospedale che a domicilio, nei villaggi sparsi nella foresta con regolare “depistage”.
Una presenza preziosa alla quale le nostre Missionarie dedicarono il meglio della loro ricchezza di cuore e di mente” .
Cerchiamo ora di trascrivere le testimonianze di Maria e Franca, riportate da alcune lettere inviate ai responsabili dell’Istituto.
Lettera di Maria al suo arrivo a Mbala :
“Il nostro arrivo a Mbala è stato veramente commovente. Penso che non dimenticherò più questo incontro. Credo che tutta la gente dl villaggio, almeno quelli che potevano trascinarsi, sono venuti ad attenderci. Che pena vedere tutte le braccia monche, tese verso di noi per abbracciarci, le mani rattrappite, senza dita, ma sorridenti e contenti per il nostro arrivo !
I bambini, quanti bambini ! Quelli almeno li vidi correre come i nostri, sono tanto sporchi, poverini, non hanno l’acqua, ma sono tanto belli e graziosi. Al nostro arrivo tutti quanti ci hanno dato la loro manina e, dopo un po’, si sentiva ovunque chiamare: Maria, Franca . Siamo una novità per loro…
Prendendo in braccio i più piccoli, che naturalmente sono nudi, mi pare di stringere un batuffolo di lana nera, ma senti che sono caldi, vivi e allora pensi : anche questo è un piccolo fratello da amare.
Non sono ancora in grado di descrivervi quella specie di casa dei nostri fratelli lebbrosi: non credevo si potesse continuare a vivere e ad essere felici in mezzo a tanta miseria ! Cercate di disegnare nella vostra mente una bassa capanna con la volta in legno annerita dal fumo; infatti in mezzo alla casa, che naturalmente non ha pavimento, c’è continuamente il fuoco acceso con un pentolone nero nero nel quale cuociono le loro misere vivande. Due o più letti, secondo il numero delle persone, circondano questo camino. I letti sono fatti con assicelle inchiodate senza materassi e lenzuola.
Ciò che mi ha colpito è stato il vedere, in pieno giorno, le persone continuamente buttate su quei letti. Poveretti, sono malati, denutriti e per lo più gravemente mutilati dalla lebbra, che cosa potrebbero fare ?”
Dalla lettera di Franca del 15 Novembre 1971 :
“Siamo qui con i nostri fratelli lebbrosi e in questo momento sono in cappella : anche Gesù ha la sua casa in mezzo a loro.
Sono appena tre giorni che siamo arrivate ed abbiamo già tante cose da raccontarvi.
Venerdì sera, appena giunte al villaggio dopo dieci ore di viaggio su una strada polverosa con una specie di Jeep, ci attendeva una folla di persone : donne, vecchi, bambini ci vennero incontro a salutarci. Già sapevano i nostri nomi e ci attendevano.
Ci ha fatto tanta impressione vedere questi nostri fratelli mutilati dalla malattia, specialmente quelli che non avevano mani da offrirci e ci tendevano il braccio.
Il desiderio di quel momento era di tuffarci sotto dell’acqua fresca e toglierci tutta quella polvere rossa che, durante il giorno era penetrata nel nostro corpo. Abbiamo invece dovuto accontentarci di una piccola bacinella con la quale ci siamo lavate, per quanto possibile, dalla testa ai piedi. Nei giorni successivi siamo state al Dispensario distribuendo medicine ai malati lebbra e di malaria. Quanti bambini sono passati, e anche adulti !
Domenica alla Messa delle ore 8 la cappella era piena di gente : hanno espresso la loro gioia per il nostro arrivo pregando, cantando e danzando. Noi non abbiamo capito nulla perché si esprimevano nel dialetto locale : in ewondo. La Messa era celebrata in francese dal padre Charles e un giovane traduceva in ewondo per le persone anziane che non comprendevano il francese. Dopo la Messa ci recavamo al Dispensario per praticare le terapie più indispensabili, essendo la Domenica giorno di riposo.”
Da una lettera di Maria possiamo capire come è costituito il villaggio di Mbala:
"...... vi ho già detto che Mbala è il nome del villaggio dei malati di lebbra dove viviamo anche noi. Si trova in mezzo alla foresta ed è formato da una trentina, di capanne, dove vivono i nostri malati, dalla nostra casa , là casa del padre e la casa di Silvana e Lucia. Le nostre sono piccole case fatte però di mattoni e cemento con porte e finestre, senza vetri però. In più c'è un altro piccolo edificio dove facciamo farmacia e deposito del materiale medico e poi il dispensario il quale è un pochino più grande. E1 diviso in quattro vani: un piccolo ufficio per il padre dove riceve e visita i malati, il laboratorio per gli esami del sangue, urine ecc...'.,, una sola stanzetta per le medicazioni ed un'altra per ricevere e visitare i malati, che si presentano con disturbi extra lebbra. Qui è dove passo maggior parte della mia giornata. A me infatti è stato affidato particolarmente le visite dei malati e l'ordinazione dei medicinali. Non vi dico come mi sento impacciata perchè non riesco a farmi capire e non capisco cosa loro mi dicono. Solo i sorrisi e i segni ci permettono di comprenderci, ma il Signore ci aiuta e ci suggerisce ciò che dobbiamo fare momento per momento.
A due Km circa da Mbala c'è Doumè che sarebbe la "città" ma che non c'è assolutamente nulla all'infuori della posta, il pane , e il mercato della verdura. A quattro Km, invece sempre a Doumè e'è la missione cattolica tenuta da padri olandesi, da altri ragazzi chiamati 'fratelli' e, dove ha anche sede il vescovo. E' per noi una grande fortuna essere vicino così alla missione perchè là troviamo delle persone che ci vogliono bene e quando possiamo incontrarci passiamo assieme delle belle ore. Loro hanno la luce e l'acqua e di questa noi possiamo qui fare rifornimento con damigiane e bidoni . Ciò che ci torna tanto utile è anche il lavatoio delle suore , dove possiamo lavare la roba ogni giovedì e sabato: sono i soli due giorni che le suore ci possono lasciare libero il locale, così possiamo anche stirare. Inoltre alla casa delle suore andiamo anche a fare il ritiro' ogni mese. Questa possibilità è una vera ricchezza.
Questa missione di Doumè è formata da più casette sparse attorno alla cattedrale. C'è la casa del vescovo, il seminario, il collegio dove c'è la scuola superiore, la casa dei padri e dèi fratelli e la casa delle suore. Le suore hanno un "bel giardino, la verdura e la frutta. Ogni tanto ci offrono un po' di qualcosa e così possiamo mangiare l'insalata fresca, il prezzemolo ..., Anche noi abbiamo preparato un pezzo di terreno pes fare l'orto, ma è tanto difficile perchè non abbiamo l'acqua e, alla fine del periodo delle pioggie si seccherà tutto. Faremo l'orto quando avremo l'acqua..... Maria
..........Franca ci scrive ancora: "Il lavoro più urgente è rendere funzionale il Dispensario, e , più urgente ancora è fare arrivare l'acqua al villaggio, perchè se non c'è l'igiene, ancora con questo caldo, come si può sradicare la lebbra ?.....Ieri e oggi , al pomeriggio ho fatto le medicazioni. Vedeste in quale stato si trovano questi ammalati ! Non sono solo piaghe, ma è un marciume puzzolente che viene fuori da quelle membra deformate. Sono pure stata a trovare degli ammalati nelle capanne, quelli che non possono venire al Dispensario; vedeste in quale miseria vivono! E' impossibile esimersi dalla malaria: non c'è solo la lebbra ma un pò' di tutto. La maggior parte degli ammalati sono affetti del tipo di lebbra maligno. E' impossibile descrivervi i quadri terribili che si vedono.,..Restiamo sempre uniti nella preghiera più vera che ci porta alla donazione completa ai nostri fratelli.
.....Continuiamo il nostro contatto con gli ammalati, mattino e pomeriggio. Quante piaghe puzzolenti abbiamo già curato. Come sono mal conciati questi nostri fratelli ! E, loro sono felici, senza pretese, riconoscenti sempre al massimo per quel po' di sollievo che diamo loro. A quelle ulcere profonde con i tessuti in putrefazione o già devitalizzati del tutto, non si può fare granché, e poi ancora, con poco materiale (garze, bende , disinfettante ) non sempre si riesce a fare una buona medicazione, come si dovrebbe e come vorremmo fare. Non possiamo neanche avere la gioia di mandarli alle loro capanne almeno un po' puliti, perchè l'acqua la si deve tenere preziosa come un altro detergente . Da parte nostra siamo felici di questo collaudo di povertà. A voi chiediamo solo tanta tanta preghiera .... . Sapete una cosa bella che si fa qui ? Si prega tanto assieme! Franca
Intanto a Fossano, in occasione della partenza di Maria e di Franca per il Camerun, si costituì un gruppo “Amici dei lebbrosi” allo scopo di sostenere il lavoro delle Missionarie. E’ anche grazie a loro che, in breve tempo si iniziò l’ “operazione acqua” come testimonia uno scritto di Maria del 19 febbraio 1972.
Mbala, 19-2-72
Amici tutti carissimi, innanzitutto un grazie sincero.
Non passa giorno senza parlare di ognuno di voi al Cristo per ringraziarlo di avervi messo al nostro fianco. Il vostro inpegno e la vostra costanza sono un valido aiuto e incitamento anche per noi.
Lunedì 21 corrente mese incominciano i lavori per la captazione dell'acqua! Non è meraviglioso? Io non riesco a credere che dopo appena tre mesi di pene posso già godere di una gioia così grande.
I nostri ammalati avranno presto l'acqua!! E questo si realizza anche per mezzo della vostra risposta all’invito di Gesù.
Senza voi e tutte le generose persone che hanno fatto loro questo problema noi non avremmo mai potuto realizzare un'opera così importante.
Vorrei vedeste come hanno lavorato i malati in questi due giorni (da quando si sa che lunedì incominciano, per fare la strada fino alla sorgente
In piena trousse hanno sradicato erbe, arbusti e grosse piante per la lunghezza di uno o due Km. e per la lunghezza di non so quanti metri (dovrà passare il camion).
Tutto questo lavoro l'hanno fatto delle persone ammalate, alcune gravemente mutilate e con l'aiuto di una semplice accetta. E' l'unico strumento che posseggono; con questo zappano la terra, piantano ed abbattono le piante, sbucciano le verdure per fare da mangiare, tagliano la legna, e, quando lo ritengono opportuno la usano per farsi il manicure.
Con la pazienza, la volontà e il tempo si arriva a bordo anche senza le macchine elettroniche, vero? Ecco una cosa che mi ha tanto colpita e che mi fa sempre del bene; qui non si ha mai fretta! Si lavora e si deve fare tutto, ma si ha anche il tempo per pensare; tutto ciò che ci circonda ci invita alla riflessione e il grande silenzio di questa maestosa vegetazione mi fa sentire la presenza da un Dio grande e "buono.
Mi piace come avete organizzato la giornata mondiale. Avete azzeccato in pieno, si vede dai frutti. Il Signore vi ricompensi donandovi tanta, tanta gioia. Anche noi abbiamo festeggiato la nostra gente. come sentono la loro festa! Hanno ragione perchè è l'unica volta che si sentono festeggiati durante l'anno. Sempre, grazie ai numerosi pacchi che arrivano dall' Italia abbiamo avuto la possibilità e la gioia di fare il regalo ad ogni malato. Per la prima volta erano tutti vestiti a festa alla loro messa! Anche le autorità di Doumé sono venute di persona a portare il loro saluto ai malati. Insomma c'è stata aria di festa e baccano per tutto il giorno, mentre altrove, lontano, molte persone lavoravano per loro.
Il Padre e Lucia sono in tournée per un mese, stanno depistando i malati su una delle piste più grandi e lontane e il loro ritorno a casa ogni giorno sarebbe impossibile, fanno ogni tanto qualche capatina per rifornirsi di medicine e per portare gli esami da fare in laboratorio.
Il mese prossimo partiranno Franca e Silvana percorrendo un’altra pista ed io, poverina me ne starò sola, soletta al villaggio. No, non sarò sola perchè qui ci sono tutti i ma lati che mi vogliono un mondo di bene. Ogni tanto, dalle piste in depistaggio arriva qualche caso nuovo che rimane in villaggio per essere trattato con più regolarità per un periodo. L'ultima settimana di gennaio è venuta una donna di un villaggio e, nel periodo che si è fermata ci ha regalato una bella bambina. Aveva con se altri due bambini ancora piccoli e, quando l'abbiamo portata all'ospedale se li è portati tutti dietro. Sapete, qui quando devono essere ricoverati non può andare l'ammalato solo, deve seguirlo qualcuno della famiglia per fargli da mangiare. Accanto al padiglione di ricovero c’è un grande capannone dove le donne fanno il fuoco per cuocere il cibo. Ieri è arrivato un giovane (depistato dal Padre) con la lebbra molto avanzata; ha i piedi molto piagati ed anche il suo stato generale non è buono. La prima cosa che dobbiamo fare è controllare le feci, per vedere se hanno dei parassiti intestinali. Ne hanno sempre! E poi a questi si aggiungono sempre molti altri disturbi. Noi facciamo del nostro meglio per rimetterli bene il più in fretta possibile. Ora incominciano a verificarsi numerosi casi di paludismo (nella stagione calda sono sempre più frequenti) perciò sovente siamo chiamati urgentemente. Lunedì scorso abbiamo soccorso un giovane che era già in coma. Per evitare il ripetersi di queste crisi che potrebbero essere fatali specie quando colpiscono bambini piccoli, diamo tutte le settimane una dose preventiva, ma non possiamo fare così anche con gli adulti perché ci mancano le medicine.
Notiamo con soddisfazione che dà buoni frutti, infatti finora non si sono più avute crisi brutte come prima, nei piccoli.
Anche noi continuiamo ad essere zelanti nell’inghiottire ogni settimana le nostre due compresse di cloro china e finora niente malaria!
Maria
Pina ricorda il viaggio con Mariuccia Spriano alla volta di Batouri e la sua breve esperienza
8 gennaio 1982: è il giorno della partenza di Mariuccia per l’Africa!
Ad attenderci a Jaoundè, capitale del Camerun, c’è Franca Cravero che da diversi anni presta il suo servizio come infermiera a Batourì, rimasta sola, dopo la prematura morte della amatissima Maria Ballario, missionaria che ha donato tutta se stessa a Dio e ai fratelli.
Ho vissuto questa breve, ma intensa esperienza di un mese, chinandomi ad ammirare con commovente stupore, l’arduo servizio offerto dalle nostre missionarie nella cura degli ammalati di lebbra, di tubercolosi e di ogni altra malattia.
Molti lebbrosi, alquanto restii nell’accettare le cure, erano già mutilati; spesso dovevano seguirli nella foresta dove si nascondevano e convincerli ad accettare le cure.
La mancanza totale di igiene, di un’alimentazione appropriata favorivano l’insorgenza della lebbra, sia nei bambini come negli adulti.
Ogni mattina le missionarie si recavano al Dispensario, un piccolo e sprovvisto ospedale dove venivano ricoverati gli ammalati più gravi, con piaghe e mutilazioni avanzate. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, mi si stringe il cuore al pensare a quanto ho visto…!
La vita in Africa è dura anche per la mancanza di acqua, per lavarci si raccoglieva l’acqua piovana, confidando nelle piogge che rendevano le strade fangose e impercorribili…
Mariuccia non ha esitato ad affiancare Franca, sia nel servizio agli ammalati, come medico, sia nell’accogliere fiumane di bambini, curiosi nel sentirla parlare loro di Gesù.
Ben presto si è trasformata in catechista e maestra, tanto che non le davano più riposo…e tutto questo nonostante la difficoltà della lingua!
Una domanda mi frullava nella mente fin dai primi giorni del nostro arrivo: come si può reggere in una situazione simile?
La risposta mi venne ben presto: in Africa la notte scende molto presto e Franca e Mariuccia erano fedelissime all’adorazione prolungata nella cappellina annessa all’esterno della loro casa. Si sedevano ai piedi di Gesù e lì ascoltavano la sua Parola dalla quale attingevano la forza e l’amore da donare ai fratelli.
Ogni mattina partecipavano all’Eucarestia presso la missione dei Padri Bianchi. Che grazia e quale ricarica!
Seguiva alla Messa un incontro fraterno che faceva un gran bene!
A metà febbraio feci ritorno in Italia portando nel cuore la certezza che le nostre missionarie erano guidate dallo Spirito Santo e che la loro vita era un messaggio della presenza di Gesù vivo e risorto tra quei fratelli!
Mariuccia Spriano
Vittorina
Dopo alcuni anni di appartenenza all’Istituto, ascoltando l’esperienza di sorelle che rientravano dalle missioni, che accompagnavo con la preghiera ed anche con un po’ d’invidia, le responsabili attraverso un missionario ci fecero sentire come tutte eravamo chiamate alla missione, sia come cristiane e ancor più come consacrate e come in quel momento era necessario che qualcuna lasciasse qualche cosa per partire.
Questo ha risvegliato in me il desiderio e l’importanza della missione al che ho presentato la mia disponibilità a partire per dove l’Istituto vedeva bene la mia presenza. Dopo aver pregato, dialogato con le responsabili, con i miei familiari e con il direttore spirituale, per la poca salute di mia mamma, con sofferenza ho dovuto rinunciare, perché un’altra era la volontà di Dio in quel momento.
Forse per me è stata più grande la rinuncia a partire che non il dover lasciare la mia mamma. Solo parecchi anni dopo, quando già mi trovavo in missione, ho capito quanto è stata preziosa l’esperienza di stare vicino alla mamma ammalata perché mi ha fatto maturare e mi ha preparata per la missione che mi aspettava e per questo ho sempre ringraziato il Signore.
Aprile 1980 – La mia mamma è stata chiamata alla casa del Padre quindi verso la fine dell’anno mi sono resa disponibile a partire per andare dove i responsabili ritenevano più necessario. Franca Cravero, dopo la morte della carissima Maria Ballario, come membro dell’Istituto è rimasta sola e manifestò il desiderio di avere una sorella con lei. In attesa di avere i documenti per il Brasile, al quale ero destinata, prevedendo un tempo lungo per averli, decisi di andare con lei per un breve tempo. Più che altro sono andata pensando di dare un aiuto morale e per tenerle compagnia.
All’inizio del mese di marzo 1981 la partenza, da sola, senza sapere la lingua. Per questo ebbi un po’ di timore, ma la certezza che il Signore mi avrebbe accompagnata e che all’arrivo ci sarebbe stata Franca ad aspettarmi mi ha lasciata più tranquilla.
Prima della partenza ero un po’ preoccupata ed agitata per quello che dovevo portare per il viaggio, ma poi, in un momento di preghiera, il Signore mi ha fatto capire che l’importante era “viaggiare verso di Lui”, se non fosse stato così me ne potevo stare a casa. Questo mi ha dato tanta pace e serenità.
Ho sempre presente la piazza in cui mi trovai nell’attesa di partire da Yaoundè per Batouri, piena di gabbiotti dove vendevano i loro cibi, le loro bevande e altro, i pulmini pieni zeppi con persone aggrappate alle porte, un caldo insopportabile. Mentre tenevo d’occhio la valigia, Franca era andata a comprare i biglietti del viaggio. Quando tornò le ho detto: “Andiamo un po’ all’ombra, mi sento morire” e piangevo. Invece di incoraggiare Franca la preoccupavo ancor di più. Ma poi ho pensato: perché piango? Tanto se devo morire ora il Signore è con me. Questo pensiero mi ha fatta rivivere e mi ha accompagnata fino a Batouri.
In una lettera mio fratello Giuseppe mi scriveva: “Sei stata ben coraggiosa a partire così da sola…”. Il coraggio non era mio, perché non sono proprio coraggiosa, ma mi veniva dal Signore, nel fare la sua volontà. E’ stata un’esperienza breve, un po’ sofferta per il clima, nel vedere tanta povertà, persone ammalate, nello stesso tempo ricca per il tempo che, da sola o in compagnia di Franca, ho potuto dedicare alla preghiera.
Solo dopo 5 mesi ho lasciato Batouri ma ero un po’ più serena perché avevo potuto constatare che quella gente, pur nella povertà, viveva nella pace. Dovetti anticipare la partenza perché i documenti per il Brasile si resero pronti prima del previsto, ed era urgente la mia presenza in Italia per non lasciarli scadere, ma anche per l’aggravarsi della malattia di mio fratello Vittore. Sapevo che lui era gravissimo, non parlava più, non posso dire com’è stato quel viaggio, però mi dicevo: “Il Signore mi ha voluta qui e quindi se Lui vuole mi farà trovare mio fratello ancora vivo”. Difatti si era ripreso per qualche giorno e ho avuto la gioia di stare con lui, di parlarci e di portargli la Comunione prima che ci lasciasse per andare in paradiso. La presenza di Franca, attenta e premurosa specialmente nei momenti di sofferenza, mi è stata di grande esempio e di aiuto nella preghiera.
Bettina
Dopo il grande dono della Consacrazione nell’Istituto delle Missionarie Diocesane di Gesù Sacerdote, che ho sempre amato e cercato di viverne il Carisma nel quotidiano, il dono più grande è stata la mia, seppur breve, esperienza in missione nel Camerun, precisamente a Batouri.
Il contatto con i fratelli poveri, i malati di lebbra e di tubercolosi negli ospedali e nei villaggi, ha cambiato la mia vita. Il Signore mi ha voluta in Camerun per dare una svolta al mio cammino che ha avuto inizio con la Consacrazione nell’Istituto: vivere per Cristo nel servizio ai fratelli.
Quanta gioia e riconoscenza per questo grande dono!
Ricordo un incontro con don Giorgio la prima volta che sono venuta a Fossano: parlandomi della presenza delle sorelle in missione e nelle diverse attività mi parlò di un suo sogno, il desiderio di una presenza tra i lebbrosi in Africa! Non avrei mai pensato che un lontano giorno, nel 1983, sarei partita anch’io per quella terra…!
….
L’Africa me la porto dentro, con il cuore e il pensiero rivolto a quei fratelli poveri…Di fronte a questa realtà mi sentivo povera e impotente, non potevo cambiare niente…ma capivo che ero io che dovevo cambiare e immergermi sempre più in Dio, il mio unico Amore.
Descrivere quanto ho vissuto è impossibile, è un qualcosa che mi porto dentro e che mi aiuta a vivere nella gioia e nella serenità, con la riconoscenza a Dio ad ai Responsabili che mi hanno aiutata a realizzare questa tappa della mia vita.