Facciamo sempre riferimento a quanto Lucia Manassero scrisse nella “ Memoria storica del nostro Istituto ”in riferimento alla nostra presenza in Egitto.
“ Nel 1982, Jacqueline de Vinck (belga), con la sua audacia, la sua grande fede e il suo delicato amore a Dio e ai fratelli più poveri, partì alla volta del Cairo in Egitto”.
Jacqueline era sposata con il barone de Vinck dal quale aveva avuto una figlia; era poi rimasta vedova ancora in giovane età.
L’incontro con l’Istituto…
Alcuni anni più tardi Jacqueline conobbe l’Istituto in Camerun, mentre prestava servizio come volontaria.
Dopo un certo cammino di conoscenza e di formazione, Jacqueline si sentì chiamata a consacrare la sua vita a Dio, nel servizio ai più poveri. Entrò così a far parte dell’Istituto delle Missionarie Diocesane di Gesù Sacerdote .
Jacqueline Missionaria in Egitto…
Il senso missionario era molto forte in Jacqueline e questo fece sì che in breve tempo ella maturasse la scelta di recarsi in Egitto, alla periferia del Cairo per condividire la vita degli “ultimi” nelle “bidonville” .
Jacqueline offrì la sua collaborazione, come volontaria, alla conosciutissima Suor Emmanuelle della Congregazione di Nostra Signora di Sion che, da anni, svolgeva un’opera grandiosa di promozione umana e di evangelizzazione in quella nazione.
Chi ebbe modo di condividere con Jacqueline un breve periodo, testimonia il suo operato : ogni giorno percorreva la periferia del Cairo tra cumuli enormi di spazzatura e carcasse di animali che rendevano l’aria irrespirabile…
Frotte di bambini scorrazzavano tra i rifiuti…i più grandicelli, con i loro padri, estraevano dalle immondizie tutto quanto poteva essere venduto per il loro sostentamento : ferro, cartoni, vetro…
La nostra attenzione si posava soprattutto sui bambini : i loro occhi brillavano in un volto tutto annerito, come pure i loro piedi che calpestavano quel maleodorante “tappeto” di sporcizia; ma loro non perdevano la serenità e tutto si trasformava in gioco.
Jacqueline s’infilava poi nelle catapecchie e, anche qui, un formicolio di bimbi più piccoli che convivevano con maiali, caprette, galline e, spesso, anche un asino.
Le donne erano occupate a preparare il cibo; a loro, in particolare, si rivolgeva l’attenzione di Jacqueline, la “baronessa”, trasformata in un’umile donna che spiegava loro le nozioni più elementari di igiene : far bollire, e poi ancora far bollire tutto quanto serviva per i neonati per salvarli dalla mortalità !
Visitava poi le donne colpite dalla lebbra, anche qui, in una situazione drammatica…le ammalate erano sistemate in minuscole e disadorne stanze, per fortuna individuali, disposte attorno a un vasto cortile. L’aspetto positivo consisteva nel fatto che ognuna doveva occuparsi di mantenere pulito e in ordine il proprio cantuccio; questo le permise di scoprire e valorizzare l’estro femminile della donna: un pezzetto di tela si trasformava in un centrino sopra il quale depositavano un oggetto, povero e insignificante, per noi, ma non per loro, che lo mostravano con orgoglio.
Altre, avendo ancora le mani meno colpite, confezionavano piccoli oggetti.
Erano contente di essere visitate e salutandoci con riconoscenza, ci invitavano a ritornare.
Jacqueline si muoveva, con straordinaria naturalezza, in questo mondo segnato dalla miseria e dalla sofferenza offrendo aiuto materiale, ma soprattutto, tanto amore e tanta bontà, nel nome di Gesù.
Riprendiamo quanto scrisse Lucia a questo riguardo : “ …fu in questo servizio e in questa donazione ai più poveri che Jacqueline contrasse una grave infezione al piede, infezione che, dopo averle causato un’amputazione, la portò, piano piano, a gravi infermità fisiche e poi alla morte.
Ci lasciò un grande esempio di serenità, disponibilità e zelo”.